martedì 20 novembre 2018

L'amica geniale

Elena Ferrante

Di regola sarebbe meglio non pronunciarsi riguardo ad un libro o una saga, prima ancora di aver terminato di leggere, ma oggi voglio fare un'eccezione. Eh sì, perchè la Ferrante mi ha proprio presa! Una lettura coinvolgente, appassionante, spasmodica, in biblico tra la voglia di sapere cosa c'è dopo e il timore di concludere troppo in fretta, correndo il rischio di non assaporare a dovere ogni pagina o di non avere altro - per il momento - che possa offrirmi la stessa intensa passione. 
La competenza narrativa dell'autrice - o chi per lei - la finissima abilità d'intreccio mi tengono incollata alle sue pagine dove una vicenda fatta di luoghi, volti, voci, raggiunge la bellezza di un ricamo di fine manifattura. I personaggi compaiono, poi s'eclissano, per ricomparire ancora sotto un nuovo aspetto, una metamorfosi dovuta al passare degli anni, ai diversi scenari storici e sociali che si susseguono. Ma a cambiare è anche il filtro del narratore che "cresce" insieme a loro e a opera del suo tempo vitale e della sua esperienza. 
Leggendo i vari volumi mi sembra di ritrovare lo spirito dei grandi romanzieri francesi dell'800, Flaubert, Balzac, ma anche di Manzoni, Verga. Ho sempre amato il genere del romanzo storico, quella capacità di filtrare i grandi avvenimenti storici attraverso vicende individuali, soprattutto vissute dai semplici, gli anonimi che comunque costituiscono la grande maggioranza di un popolo. 
Le protagoniste poi, Lenu' e la sua amica Lila, quasi una l'alter-ego dell'altra, vivono la loro vita e il loro rapporto quasi in un vortice in cui ognuna emula e sorpassa l'altra, impara o ricade negli stessi errori, sparisce per poi ricomparire e stravolgere la vita dell'amica-antagonista. Un magma a volte esuberante a volte sommerso, che non si spegne forse, anzi, si ravviva nel tempo, mai placato dalla distanza o dalle intemperie della vita.
Lila, l'imprevedibile, impetuosa ed eccessiva, intelligenza fuori dal comune. Questa donna porta dentro di sè un mostro (e uso questo termine nel senso etimologico, ovvero "qualcosa che deve mostrarsi") che ogni tanto scalcia, sbuffa per venire fuori. Una donna difficile, che o si odia o si ama, crudele a volte ma ricchissima di umanità.
Elena invece, la sua fatica infinita per tirarsi fuori dai bassifondi rionali in cui la sorte l'ha messa, la necessità di liberarsi dalla presenza vessatoria della madre, dalla povertà della sua casa, dalla grossolanità delal sua gente. Elena sa che ogni cosa va imparata, per costruirsi deve addestrarsi, persino per essere all'altezza degli uomini che le stanno accanto deve continuamente sfidare i propri limiti, sebbene la sua condizione "piccolo-borghese" sembri restarle sempre attaccata addosso. Quello che mi colpisce di Elena è il suo costante mettersi in discussione, rielaborare il proprio percorso, ideare dei programmi di acculturamento capaci di renderla "all'altezza". Il rischio che resta in agguato dietro l'angolo sarà la perdita della propria vera identità, ovvero la consapevolezza di non aver mai scelto davvero per sè, ma solo quello che sembrava adeguato all'idea che si era costruita di se stessa ...
Un gran bel libro (anche qui è il caso di sottolineare che tutti i volumi costituiscono un unicum inscindibile...).
Infine, che dire? Sto concludendo il terzo volume, ne rimane haimè soltanto uno. Non mi resta altro da fare che continuare...

lunedì 25 giugno 2018

Niente nessun luogo

Mariella Mehr

Niente,
nessun luogo.
C’è ancora rumore
di sventura nella testa,
e sulla mappa del cielo
io non sono presente.
Mai è stata primavera,
sussurrano le voci di cenere,
sulla bilancia del linguaggio
sono una parola senza peso
 e trafiggo il tempo
con occhi armati.
Futuro?
Non assolve
me, nata sghemba.
Vieni, dice,
la morte è un ciglio
sulla palpebra della luce.

Per conoscere la storia di questa poetessa zingara vittima dell’eugenetica 

martedì 27 marzo 2018

Harry Potter mon amour...

Ecco “un libro” (perché così lo si deve leggere) di cui non avrei voluto parlare. Perché? Come fai a definirlo, ad inquadrarlo in poche righe? Tanti gli aspetti che emergono dalle pagine della Rowling...tante le chiavi di lettura, gli spunti di riflessione umana e letteraria. Lo sto rileggendo tutto d’un fiato, a distanza di decenni. All’inizio l’ho ripreso per gioco, per far conoscere ai miei figli il personaggio... E’ andata a finire che me li sto divorando tutti. Non so, sarà che alla sua prima uscita leggevi un romanzo all’anno, sarà che la novità ti travolgeva, sarà che, finito di leggere il libro, vedevi subito il film, oggi invece lo sto leggendo con occhi diversi. Ovviamente non mi perdo su tutte le citazioni letterarie che l’autrice vi ha intessuto, sarebbero tantissime e c’é ormai una vastissima letteratura a proposito. Vorrei piuttosto soffermarmi su quello che oggi mi racconta il romanzo. 
Mi racconta di un mondo della scuola dove ogni insegnante viene rappresentato nelle sue caratteristiche buffe, tragiche, divertenti. La galleria è molto ampia e ricca e quasi quasi in alcuni aspetti non puoi esimerti dal confronto coi tuoi colleghi. E poi Silente, il preside che non si vede mai ma che è sempre presente. Saranno forse i poteri magici ma non è solo questo, Silente osserva, accompagna, si preoccupa dei propri docenti, della loro storia personale, al di là di pregiudizi o passati poco chiari. Vede i suoi insegnanti per quello che sono e li difende e li rispetta. Qualcosa gli sfugge, non è onnipotente, ma guarda il buono dei suoi professori e gli cammina a fianco. Adoro Silente e quanto vorrei il suo Pensatoio dove svuotare la mente per comprendere meglio i propri pensieri.
Molto forte è anche l’importanza che riveste la famiglia, i Wea
sly, numerosa ed eccentrica famiglia di maghi, molto variegata, povera ma ricca dell’amore che scorre tra i suoi componenti. E la famiglia di Harry, dove la morte non segna inevitabilmente la rottura tra i due mondi. Nei momenti più difficili  Lily e James sono lì, ad aiutare Harry, a continuare a proteggerlo da Voldemort. A proposito, Voldemort. Rifletto spesso sul fatto che nei cartoni animati odierni il male è scomparso. Anche i cattivi delle fiabe tradizionali diventano un po’ meno cattivi, quasi simpatici. E no. I bambini hanno diritto a sapere, nella maniera adeguata certamente, che il male esiste, è forte e, anche se giovani, bisogna imparare a difendersi. Voldemort esiste, uccide veramente e le lotte tra lui ed Harry sono terribili. È molto importante questo elemento. Una delle cose che mi piace di più è che spesso nei combattimenti contro Voldemort Harry non vince grazie alla magia, bensì grazie alla protezione dei suoi genitori, degli amici dei suoi genitori, dei suoi amici, Ron ed Hermione. È molto bella questa trovata. 
E infine Ron, Ermione ed Harry. Un legame indissolubile, le stesse problematiche scolastiche, sentimentali di tutti gli adolescenti ma con un compito ed una responsabilità in più, ovvero la lotta contro il male. Ci vuole il cuore puro di un ragazzo per sconfiggerlo. Non tutti i loro compagni sono innocenti, questo vuol dire che loro non sono innocenti di necessità ma per scelta, per la loro volontà. Harry Potter condivide con Voldemort più di quello che vorrebbe, stessa bacchetta, parla come lui il serpentese, stessi pensieri. C’é un legame tra loro, e questo lo disturba, quasi percependolo come una colpa. Ecco allora Silente a rassicurarlo: è la scelta di chi vogliamo essere che ci costituisce, quello che facciamo delle nostre doti ci rende buono o cattivo. La scelta è la nostra identità.
Si potrebbe continuare all’infinito ma mi fermo qui...
Ovviamente tutta la mia invidia, livore, rancore verso la Rowling che ha scritto il libro che io avrei sempre voluto scrivere!!! Au revoir!

martedì 20 febbraio 2018

Il ministero della suprema felicità 

Arundhati Roy

Sicuramente un libro che non può lasciare indifferenti. La storia raccontata ha dell’incredibile eppure è tutto verosimile. L’India e il Pakistan come realmente sono, lontano dai cliché yogici o culinari a cui siamo abituati in Occidente. 
Non credevo che esistessero realtà così crude in quei paesi eppure leggendo questo libro ci si rende conto di quanto i principi delle filosofie buddhiste siano mere fantasie. 
Nel romanzo la protagonista Anjum diventa vittima di un sistema violento contro le minoranze , in quanto è una “ hijira” ed è anche musulmana. Le violenze a cui sarà sottoposta però la renderanno ancora più forte e tenace, capace di un amore sempre più grande. Nella storia, la sua vita si intreccerà con quella di altre figure, anch’esse emarginate, violentate, fino alla creazione di un mondo surreale dove la risposta al dolore subìto diventa davvero solo l’amore.
Un romanzo difficile da leggere, che ti mette alla prova, dove le storie sono intrecciate in una maniera sapiente e inedita. La Roy dimostra anche con questo romanzo, successivo al premiato “Il dio delle piccole cose”, il suo storico impegno per la sua amata terra, le sue grandissime doti narrative e una profonda capacità di saper guardare “oltre” e più ancora “dentro”.

domenica 11 febbraio 2018

Itaca

di Konstantinos (Costantinos) Kavafis

 Quando ti metterai in viaggio per Itaca
 devi augurarti che la strada sia lunga
 fertile in avventure e in esperienze.
 I Lestrigoni o i Ciclopi
 o la furia di Nettuno non temere:
 non sara' questo il genere di incontri
 se il pensiero resta alto e un sentimento
 fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo.
 In Ciclopi o Lestrigoni no certo,
 ne' nell'irato Nettuno incapperai
 se non li porti dentro
 se l'anima non te li mette contro
 Devi augurarti che la strada sia lunga,
 che i mattini d'estate siano tanti
 quando nei porti – finalmente e con che gioia -
toccherai terra tu per la prima volta:
 negli empori fenici indugia e acquista
 madreperle coralli ebano e ambre,
 tutta merce fina, e anche profumi
 penetranti d'ogni sorta, piu' profumi
 inebrianti che puoi,
 va in molte citta' egizie
 impara una quantita' di cose dai dotti.

 Sempre devi avere in mente Itaca –
Raggiungerla sia il tuo pensiero costante.
 Soprattutto, pero', non affrettare il viaggio;
 fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio
 metta piede sull'isola, tu, ricco
 dei tesori accumulati per strada
 senza aspettarti ricchezze da Itaca.
 Itaca ti ha dato il bel viaggio,
 senza di lei mai ti saresti messo
 in viaggio: che cos'altro ti aspetti?

 E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avra' deluso.
 Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso
 gia' tu avrai capito cio' che Itaca vuole significare.

(1911 - Konstantinos Kavafis)

Una città....Londra

Oggi non scriverò di un libro bensì di una città. Per quanto caotica e “mega” in ogni senso, adoro questo luogo. Si potrebbe elogiare l’efficienza della Tube, così veloce e capillare che anche una come me, che ha studiato sì l’inglese...ma nella conversazione mi attribuisco il merito di essere una schiappa, può tranquillamente andarsene a zonzo e trovare sempre ciò che cerca. 
Quello che più mi colpisce di questa città in effetti è l’immenso patrimonio artistico e culturale che essa possiede, indice ovviamente della potenza di questa nazione nei secoli. Ma anche in Italia c’è ogni ben di Dio, si potrebbe obiettare. Sì, è assolutamente vero, però qui hai come la sensazione che le opere siano di tutti. Entrare gratis in posti come la National Gallery, trovarti di fronte a Van Gogh, Caravaggio, gli Impressionisti, poterli quasi toccare. Spostarti poi al British Museum, entrare pure lì gratis, incontrare la Stele di Rosetta, le mummie, la chimera di Persepolis. Ti senti come se stessi passeggiando dentro i libri di Storia dell’arte che hai studiato in gioventù! Sì, la sensazione è che quei tesori siano anche miei e che Londra li custodisca anche per me. 
In questi luoghi entrano ogni giorno migliaia di persone, i controlli ci sono ma non sono lunghi e snervanti. La politica museale inglese è inoltre assolutamente favorevole alla famiglia, proponendo sconti, attività, aree pic nic e armadietti gratis. Ti resta la voglia di tornare, ecco. La gentilezza del personale è indubbia, sei guidato e consigliato per una migliore fruizione possibile.
Attorno a questi gioielli certamente ruota tutto un mondo commerciale di gadget e ricordi, ma va bene, ben venga, è piacevole portarne a casa un po’ e contribuire all’economia del museo... 
Ripeto, i controlli ci sono ma quando sto lì mi accorgo che vi è una diffusa fiducia nella bontà delle persone, è come se il museo si “fidi” dei suoi ospiti piuttosto che temerli. E evidentemente questa politica ripaga. 
Ma, oltre ai musei, di questa città adoro altri aspetti. Notting Hill e Portobello Road...mi perderei tra quei negozietti e pub. I ristoranti etnici provenienti da tutto il mondo, Harrods, il Tamigi, il binario 9&3/4 di King Cross Station. Tutto mi rievoca quel mondo di fantasia che ha arricchito la mia vita, da Mary Poppins a Harry Potter, da Pomi d’ottone e Manici di scopa a Dickens, da Notting Hill (film) a Lilly e il Vagabondo fino al recentissimo adorabile Paddington...
Nella sua vastità Londra è un cosmo, rivela un ordine intrinseco che mi lascia sempre piacevolmente sorpresa.

lunedì 5 febbraio 2018

Lettere a Theo

Vincent Van Gogh


Sono stata in visita ad una mostra dal titolo “Van Gogh alive”, una di quelle proposte multimediali oggi diffuse ovunque. Suggestiva, per carità, ma se ad una mostra mancano i quadri che mostra eh!? Comunque... la cosa bella è stata che leggendo le parole dell’artista proiettate ho ritrovato nella memoria un libro che ai tempi dell’Università ho amato moltissimo, ovvero il carteggio tra Vincent e Theo Van Gogh, suo fratello. L’artista è noto a tutti, certamente, ma forse lo è meno il bellissimo rapporto intercorso tra i due fratelli, uno l’alter ego dell’altro, il confidente Theo, a cui affidare tutta la tempesta interiore che permise all’artista di realizzare le sue opere. Theo, mondano, cittadino, Vincent schivo, solitario, chiuso in una sfera magica dove visse la sua unica vera relazione ovvero quella con l’arte, col colore. La sua vita era arte, erano un tutt’uno. Lontano dai mercati, dalle accademie, visto con ritrosia dagli stessi impressionisti, la sua ricerca era tutta personale, dentro se stesso. Se pure la natura era la sua prima fonte d’ispirazione, il quadro era l’immagine della sua anima. La drammaticità febbrile del tratto, il colore così materico, plastico, lungi  dall’essere l’immagine fedele della natura, erano le stesse pieghe della sua anima. Nelle sue lettere è tangibile una sensibilità estrema che porta la percezione alle sue estreme conseguenze e le sue verità ultime non sono altro che il dolore e la vita. Dolore dell’uomo ma anche della natura. L’estraneitá dal consorzio umano, leggendo tra le righe, diventa forse, seppure dolorosa, necessaria alla creazione artistica. Anche un oggetto, una sedia, un albero, rimarcato dallo spesso bordo nero, diventano simbolo dell’uomo e del suo isolamento, simbolista senza volerlo.

E fu così che questa sua ricerca lo condusse al suicidio. Ma prima di morire, in uno dei suoi ultimi momenti di lucidità, compose il quadro per me più commovente, ovvero quello in cui viene rappresentato un ramo di mandorlo. Un quadro dipinto per il nipotino, chiamato, da Theo, Vincent, come lui. L’epilogo dei due fratelli non è forse noto, ma ancora una volta forse segno del profondo legame che li unì per tutta la vita.